Capinera

Era una tiepida giornata primaverile e avevo percorso un tratto del sentiero dell’Oasi LIPU di Casacalenda quando mi fermai nei pressi di una radura: davanti ai miei occhi i giochi di luce e di ombre, su tutta quella varietà di colori, formavano una piacevole immagine visiva che desideravo imprimere bene nella mia mente per goderne il più a lungo possibile. Non so dire per quanto tempo rimasi lì immobile in pura contemplazione ma di certo fu un tempo sufficientemente lungo per rassicurare della mia innocuità gli abitanti alati del bosco che, ignari del piacere che mi avrebbero procurato, iniziarono il loro delizioso concerto. Sebbene quei cantori fossero tutti dei bravissimi solisti che seguivano e improvvisavano spartiti diversi, occupandosi di dare voce solo al loro singolo canto, l’insieme dava vita ad un’armonia musicale che solo la natura riesce a realizzare e che non poteva essere scalfita minimamente dal canto di nessuno di loro. Non c’era errore, interruzione, pausa o solista che stonasse nemmeno quando il passaggio di una Poiana, annunciato dal tipico verso di allarme delle Ghiandaie, fece sostituire improvvisamente lo spartito trasformando quell’andamento “Allegro” in un “Prestissimo” che causò l’abbandono del palco da parte di tutti i cantori che si rifugiarono rapidi e silenziosi “dietro le quinte”. Fu allora che ne notai uno mentre abbandonava l’alto ramo di un Cerro, a pochi passi da me, tuffandosi e scomparendo in un fitto cespuglio di Prugnolo. Non ebbi il tempo di riconoscerlo come ero altrettanto sicura di non averlo ancora udito poiché si trovava così vicino a me che la sua voce non poteva davvero essere sfuggita  alle mie orecchie. All’improvviso mi balenò nella mente che proprio quella mia “eccessiva” vicinanza potesse aver fatto sì che egli rimanesse timidamente silenzioso durante tutto il concerto in atto fino a pochi istanti fa. Ero davvero curiosa di scoprire l’identità di quel cantore dai colori un po’ spenti così restai in paziente ed in silenziosa attesa. Quando il pericolo sembrava ormai cessato, in pochi minuti, ad uno ad uno, i concertisti ripresero nuovamente posto per suonare le loro composizioni.

All’improvviso anche dal Prugnolo iniziarono a provenire i primi striduli accordi. Udii dapprima un lento e timido cinguettio che, dopo pochi secondi, si trasformò in un assolo appassionato ed “il bosco è pervaso dal canto puro e cristallino di una grigia capinera”, come descrisse William Kenneth Richmond (1910-1990), pedagogista inglese. Il silenzioso uccello canterino, infatti, era proprio una Capinera, anche la vista poté confermarlo dopo che egli si spostò su di un ramo più alto e più esterno del Prugnolo per essere maggiormente visibile alle femmine dei dintorni. La sua melodia divenne man mano più intensa e continuò sollevando le piume nere del capo, gonfiando quelle grigie cenere della gola e del petto, aprendo le ali e facendo oscillare la coda in piena estasi. In quel momento il canto di quell’“esile menestrello” fu talmente dolce da poter “baciare le rose” e così “melodioso come un usignolo” come descrisse il poeta inglese John Clare (1793-1864) dopo averlo udito. Quando una femmina di Capinera raggiunse il melodioso menestrello, ponendosi al suo fianco, diventò evidente come l’unica differenza tra di loro siano le piume del capo che, in quest’ultima, erano color nocciola.  Ed ora che sono così vicini su quel ramo mi allontano lentamente e silenziosamente per lasciarli da soli a parlare d’amore...

La Capinera (Sylvia atricapilla) è un piccolo uccello che può raggiungere i 15 centimetri di lunghezza e che deve il suo nome, sia comune che scientifico, proprio al caratteristico “cappuccio nero” del maschio: “atricapilla” dal latino “ater=nero” e  “capillus=capello”. Mentre il nome del genere “Sylvia” deriva dal latino “sylva=selva/bosco” per indicare il loro habitat preferito costituito da alberi con arbusti molto folti, cosa che accomuna tutti gli appartenenti alla famiglia dei Sylviidae a cui appartiene, oltre alla bellezza del canto e alla loro alimentazione insettivora. Alcune specie, come la Capinera, possono nutrirsi anche di alcuni frutti durante i mesi più freddi, quando gli insetti iniziano a scarseggiare, soprattutto da noi dove questa specie è prevalentemente stanziale. È una specie abbastanza adattabile e può essere osservata anche nei parchi cittadini ma, come tutte le Sylviidae, è soprattutto minacciata dall’uso dei pesticidi, dal taglio e l’eliminazione di siepi ma anche dalla cattura illegale. Le tristi capinere in gabbia hanno ispirato varie opere musicali e letterarie altrettanto tristi e tragiche. Giovanni Verga (1840-1922) lo scrisse all’inizio del suo romanzo “Storia di una Capinera” che narra di una novizia che conosce l’amore durante un temporaneo trasferimento in campagna per un’epidemia di colera ma a cui sarà costretta a rinunciare morendone di dolore.

Ma le Capinere libere danno un prezioso contributo, non solo come insetticidi naturali ma anche arricchendo l’aria di melodie uniche e preziose che possono trasformarci in protagonisti di versi poetici del passato e del presente e così “Io siedo invisibile e fosco, ma un cantico di capinera, si leva dal tacito bosco”, Giovanni Pascoli (1855-1912).

© Autore Angela Damiano — Pubblicato sul periodico  “La Fonte”

L’esile menestrello